Articoli per marzo 2021

A Short Hike

Un bosco, ed un uccellino Si, ho visto le monetine da raccogliere

Il mio interesse per i videogiochi si è negli anni riposizionato, portandomi ad ignorare il mondo dei grandi titoli dalla grafica più avanzata, a favore delle più modeste creazioni di piccoli sviluppatori, indie e non.1 Fissato il requisito “senza DRM”, mi aggiro di solito su GoG ed itch.io, dove l'anno scorso ho acquistato un enorme bundle.

Luccicante nella massa, ho subito notato A Short Hike: un breve gioco in cui si esplora un isola, un parco naturale a fine stagione, con l'obbiettivo di raggiungere la cima di una montagna. Non ci sono nemici o pericoli di alcun genere, i sentieri sono marcati, e la montagna è immancabile, al centro dell'isola. Si può completare in un paio di sessioni, eppure è rimasto con me, e nei mesi sono tornato a visitarlo più volte. Perché?

Il gioco ha un'idea molto precisa in testa: non c'è fretta, non ci sono contatori che scendono o salgono con urgenza, non ci sono percentuali da riempire. C'è una generale sensazione di pace e freschezza, che genera curiosità. Ed il parco è pieno di dettagli a cui applicarla. Mi ricorda la prima volta che ho visitato Vvardenfell, l'isola di Morrowind, scalando ogni montagna, attraversando ogni palude, investigando ogni rovina, caverna. Anche su sull'isola di “A Short Hike”, esplorare è ben ricompensato. Il mondo è vivo: pieno di piante, pesci nei fiumi, con sole e pioggia e vento che soffia. E siccome il protagonista è un volatile, il cielo è navigabile e le correnti d'aria sono un'importante elemento.

I dettagli abbondano e suggeriscono la storia del luogo e dei personaggi che vi risiedono. Ci si può fermare a parlare con essi, per scoprire le loro storie, o per perdersi nelle side-quest. Ed ognuna di queste è originale e simpatica, ed invece di incrementare qualche statistica astratta, oppure sbloccare un'area artificialmente separata dal reso, di solito apre nuove attività: un mini-gioco, uno strumento per interagire con il mondo, un modo di esplorare l'isola.

E così ho vagato, di tanto in tanto, lungo questi sentieri. A volte senza meta, se non per seguire una stradina che prima non avevo notato, o per raggiungere un luogo noto da un lato diverso. C'è un tasto per correre, ma si usa di rado. Forse è un gioco che offre la calma che non si trova altrove, od il verde che la città possiede solo parzialmente. O le interazioni che abbiamo messo in sospeso. O nulla di tutto questo, e semplicemente mette a disposizione sentieri e scogliere e pareti da scalare, e ci lascia la libertà di scegliere.

È un gioco dove ci si può sedere a pescare sulla riva di un lago, o del mare. E se devo lamentarmi di qualcosa, è dei i pesci che abboccano troppo presto.


  1. Forse i più recenti Homeworld e Shadow Warrior contano come giochi grossi? 

La seconda volta

Bucaneve, all'inizio. Poi crochi, ed i primi narcisi. Ora le gemme sugli alberi, marroni, rosse, alcune osano virare al verde. È un periodo di anniversari—e di numerosi compleanni, auguri!—e con Marzo si chiude un anno di quotidiane passeggiate sul sentiero dietro casa. Forse duecento metri in tutto, il boschetto è il regno di scoiattoli, merli, gazze ed un paio di piccioni che zampettano nel prato. Cince, pettirossi, passeri e rumorosi fringuelli, nascosti nei cespugli-condominio. Coccinelle, lumache, farfalle e falene, un po' ovunque. A volte, nel primo pomeriggio, una rara libellula o uno sciame di bambini dell'asilo, giubbino catarifrangente e risata ad alta frequenza.

È un anno che attraverso questo piccolo ecosistema, notando i minuscoli quotidiani passi del variare delle stagioni. Ma in questi giorni osservo per la prima volta... la seconda volta. Il bosco è simile, ma stranamente diverso. Ci sono foglie, colori, e suoni nuovi. Cespugli che credevo li da sempre sono spariti con l'inverno, e non ancora tornati. Esplosioni di foglie lanceolate punteggiano il sottobosco, laddove ricordavo solo ortiche. Eppure nessuno ha seminato nuove piante, introdotto nuovi animali, od insegnato nuove canzoni ai volatili. Sono stato io a cambiare, a raffinare l'occhio e l'orecchio a certi dettagli. L'attenzione è dopo tutto un muscolo. Prestare attenzione, ripetutamente e lentamente, un esercizio. E tutto quello che vedo di nuovo in questi giorni, è qualcosa che mi era sfuggito all'inizio de La Situazione.

Il sole è sempre più alto. Fremo un poco, spero che le foglie appaiano presto. Quali novità porterà questa seconda primavera? Cosa ne sarà dell'attenzione, quando avrò un mondo più ampio a cui applicarla?

Foglie nuove nel bosco Che fiori faranno?

Le voci degli altri

Giusto perché non avevo abbastanza cose a mezz'aria, il mese scorso ho avuto un'idea. L'ho considerata per qualche giorno, poi ho precettato un paio di volontari e l'ho messa in pratica. In fondo avevo appena comprato un microfono1, e mi sembrava un buon modo di usarlo.

Il progetto vive in un altro contesto, e quindi su un altro sito. Per qualche inconscio motivo cerco di non chiamarlo podcast, ma temo che lo sia: precetto vecchi compagni di università, parliamo di dove sono, di come ci sono arrivati, di cosa si interessano. Principalmente ascolto, e scopro dettagli e pensieri che nella distanza remota di questi tempi, nella superficialità delle comunicazioni immediate, raramente vengono a galla.

Alla base di quest'idea c'è la mia fissa che le storie che stiamo vivendo abbiano valore, per noi stessi e per quelli che ci conoscono. Ci sono momenti e ragionamenti importanti, ed importante è anche condividerli. Sprono fin troppo spesso amici e conoscenti perché scrivano e raccontino di quello che li appassiona. E di solito non funziona: se scrivere richiede uno sforzo, cominciare a scrivere è uno scoglio per molti troppo grande. Il podcast progetto aggira il problema, e riduce gli ostacoli. Rimane il racconto, di esperienze, progetti, passatempi. Per una volta non miei, ma degli altri.

Il blocco iniziale da superare invece è tutto mio: registrare e riascoltare, puntata dopo puntata, la mia voce. Non ho un grande rapporto con essa, e la quotidiana accettazione è basata sull'ignorarne timbro, rotacismo, e borbottio. Non so se avrei tentato una simile impresa senza aver speso un anno a parlare dentro scatole, giorno dopo giorno. Ed ora ho sbloccato qualcosa: registrare non è così doloroso, e riascoltare è diventato accettabile, mentre smanetto con Audacity per tagliare gli eeeeeh più grossi, ed i vari rumori facciali che produco.

C'è un piacere di fondo in questi chiamate e registrazioni. C'è la sensazione di connettere, e capire cose nuove di persone che conosco da tempo. A volte si dilungano ben oltre il previsto, e divagano in sorprendenti direzioni. Sono quello che speravo, ed anche di più. E per gli altri? Tocca a loro raccontarlo.


  1. Lasciamo al lettore investigare il possibile collegamento fra la marca di prodotti audio Marantz, e l'etimologia di “maranza”.