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Stesso castello, un angolo diverso.

Un incrocio, un autobus di passaggio, pedoni che attraversano a lato; sullo sfondo il castello di Edimburgo, in cima alla sua collina, ed il cielo nuvoloso.

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Pieno di murales e palazzi dipinti in modi strani, a Brighton. Dovrò tornare per esplorarla meglio.

Un palazzo di un paio di secoli fa, sull'angolo di una strada, con il murales di un elmetto da astronauta su una facciata, e l'altra dipinta a triangoli colorati, su fondo nero.

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A Londra, solo di passaggio. La stazione di Blackfriars, sull'omonimo ponte, ha un'ottima vista.

Grattacieli di Londra ed una serie di ponti, visti attraverso il vetro di protezione di una stazione sul ferroviaria sul Tamigi.

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Vent'anni su Altervista

Sarà che invecchio, o che mi soddisfa trovare ritmi e simmetrie, ma di questi tempi spuntano anniversari dappertutto. L'anno scorso consideravo vent'anni in Scozia, oggi posso celebrare vent'anni di dreadnaut.altervista.org. Mi sembra importante farlo perché questo sito è uno strumento essenziale nella mia vita e, sorprendentemente, uno dei fondamenti della mia carriera.

Ci sono state altre pagine prima di queste: file HTML passati in giro via floppy, una grezza esercitazione che aveva a che fare con un jazz club (🤦), i primi esperimenti caricati su Libero. In Scozia ho scoperto che l'FTP di Libero non era accessibile fuori dall'Italia. Ho provato Tripod per un momento, ma i banner iniettati nelle pagine erano inaccettabili. Sono infine approdato su Altervista, nel Febbraio 2004. Non è che mi sia segnato la data sul calendario: c'è una scrittina sul forum di supporto che me ne ricorda ad ogni post: "Data registrazione: 22-02-2004". Altervista al tempo era più di un hosting: il forum era una piccola comunità, un valore aggiunto. Fra il 2004 ed il 2008 ho speso ore a leggere ed allungare thread a proposito di sviluppo web. Oggi il forum è ancora li, ma decisamente più silenzioso. Inserire qui mugugni sui social media.

Uno screenshot di questo sito nel 2005 Non avevo nemmeno festeggiato il primo compleanno?

All'inizio mi serviva solo un posto dove tenere piccoli tutorial sul Pascal. Il blog è nato come lista degli ultimi aggiornamenti, poi si è espanso ad includere elucubrazioni di un Dreadnaut che stava cercando di capire chi fosse. Gli archivi contengono ancora parole antiche che preferisco non rileggere. Le lascio li invece di rimuoverle, mascherarle o ret-con-arle: più basso è il punto di partenza, maggiore la distanza percorsa. E lo pseudonimo, dopotutto, può permettersi un'autenticità che altrove sarebbe un peso. Di nuovo, posso lamentarmi dei social media e della scelta di richiedere dati personali, con la sfatata scusa di evitare abusi, ma in realtà per forzare il network effect.

Mi ci è voluto tempo però per comprendere il valore dello scrivere, non codice ma pensieri ed idee. È diventato evidente solo quando ho interrotto il blog nel 2013, avendo perso un attimo la direzione, sia tecnica che esistenziale. Magari ricordo male, ma l'impressione è di aver capito dove volevo andare solo dopo aver rimesso su un posto dove solidificare il mio ragionamento. Forse bastava un quaderno, ma scrivere in pubblico crea una regolarità che sarei incapace di mantenere da solo.

Uno screenshot di questo sito nel 2008 I bordi iniziano a sparire

Cosa ho oggi? Una specie di diario, un posto dove annotare pensieri, caricare fotografie, pensieri altrimenti destinati a sparire col tempo. Serve a me stesso, ma anche a condividere cose che considero importanti con pochi amici e lettori di passaggio. I tutorial in Pascal sono archeologia informatica, ma solo due anni fa qualcuno me ne aveva chiesto dettagli. Ho più di 350 post, che assieme fanno oltre 750KB di testo: tanto quanto Pride and Prejudice in plaintext.

Ma la carriera, come ne è uscita? Non stavi studiando tutt'altro? Si, ma spendevo fin troppo tempo a raffinare queste pagine, ad imparare come si costruisce un sito leggibile, accessibile, un sito fatto bene. Nel mezzo di un PhD sul reinforcement learning, mi perdevo in mille progetti laterali che avevano a che fare con il web, sia come mezzo di comunicazione, sia come piattaforma per distribuire software. Scoprivo cose nuove, le usavo per esperimenti su queste pagine. Un pezzo alla volta, su un piccolo blog ho costruito una professione. La fuori c'è software che muove milioni di transazioni bancarie e che deriva, alla fine, da quello che ho imparato costruendo chezDreadnaut.

Uno screenshot di questo sito nel 2011 Righe più spesse e gradienti, al passo con i tempi

Ho paura che post auto-celebrativi come questo siano un po' noiosi, ma per me è importante fissare un punto, calcolare la distanza da esso. Leggevo di recente una rara newsletter (che quindi non posso linkare), e ne riporto uno spezzone che condivido a fondo:

This is all we can do — occasionally revisit who we once were, measure out that distance bridged, and use that to understand better who we may be today.

Ho cercato—cerco ancora!—di fare proseliti, ma è evidente che do alla parola scritta un'importanza più alta della media. Ne discutevo due settimane fa con il Proppo su un tratto della A10, e con il Krustard in un pomeriggio piovoso: le parole buttate su un social media od un IM sono effettivamente perse dopo poche settimane. Non c'è modo di misurare distanze e crescere. Non ci sono fondamenta su cui costruire, solo sabbie mobili.

Andate quindi, e mettete su un sito. Di qualsiasi colore o forma o font, non importa. Con quello che serve a voi, con quello che avete da dare agli altri. Semplice è più facile che complesso: una pagina statica, un accrocchio di file di testo, un coso prefabbricato. Il sito non vi tradirà, non vi chiederà nulla, non vi venderà nulla. Crescerà con voi, basta bagnarlo ogni tanto.

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Genova Pegli

Una villa sopra a più piani subito accanto al mare, sopra uno scoglio su cui è stata costruita una balconata, ed una scaletta che scende verso un approdo; una diga separata il mare aperto, ed un aereo in fase di atterraggio davanti ad un cielo nuvoloso, ma luminoso.

L'anno mille993

José Saramago, 1975

Sono in Italia, un sabato pomeriggio che piove a dirotto. Sto discutendo di qualcosa con il Krustard, mentre passo in rassegna i libri su uno scaffale in sala. Vivendo altrove per 51 settimane all'anno, devo confrontare la collezione con i miei vaghi ricordi della visita precedente. Sono anche mesi che non leggo, e le coste colorate mi attraggono tipo falena. I libri si spostano di rado, ma di tanto in tanto ne appare uno nuovo. L'occhio mi cade su L'anno mille993, in parte per la strana scrittura. È un volumetto sottile abbastanza da non sembrare una responsabilità, ed inizio a sfogliarlo, mentre fuori continua a piovere, e la discussione continua. Lo leggo più tardi, fra una sera ed una mattina. Ne scrivo solo due righe, altrimenti questa recensione diventa più lunga dell'opera.

Il libro contiene un "poemetto" scritto da José Saramago, un autore portoghese, nel 1975. La storia immagina un futuro un po' distopia, dove una guerra porta oppressione, violenza, confusione. Ma le persone si aiutano, superano ostacoli, riconquistano la libertà. Più o meno tutto li, raccontato in trenta brevi capitoli, immagini in versi di prosa—niente rime, ma una vaga musicalità.

Leggero, curioso, un buon libro a caso, per ricominciare.

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YouTube, istruzioni per l'uso alternativo

Il web di questi tempi è pieno di mega-servizi e piattaforme, un po' buchi neri dell'informazione, da cui mi tengo alla larga facendo il difficile. Di questi YouTube è quello di cui faccio più uso. Ma è un uso alternativo, che Google probabilmente non approva.

L'impressione è che YouTube sia li da sempre, anche se in realtà c'era prima Google Video. Di questo, per quanto ne so, rimangono solo link rotti su vecchi post di R'Lieh. Nel 2006 Google si è comprato YouTube, e con l'abbrivio che solo milioni di dollari di investimento possono generare, l'ha trasformato nel colosso odierno. In parallelo ha creato un nuovo mondo di video, personalità che li filmano, ed incidenti causati da quest'ultimi. C'è un capitolo dedicato in Measure What Matters, che spiega con disturbante ammirazione la scelta di valorizzare video più lunghi e lenti, per tenere le persone incollate al sito più a lungo possibile e poter inserire più pubblicità.

Il risultato è un servizio che mi disturba a livello istintivo: dopo i primi secondi di un tipico video, il mio cervello-lucertola si sente in trappola e mi intima di scappare. La voce del narratore mi ricorda "This is your life, and it's ending, one [YouTube] minute at a time". Di solito non arrivo neanche a trenta secondi: la pubblicità che precede i video mi fa scappare prima. Assurdamente non ho mai installato un ad-blocker dedicato. Forse gli ad all'inizio del video sono un utile segnale di pericolo, e preferisco lasciarli dove sono.

Ma... ho scritto che uso YouTube, come faccio?

Guardo video altrove

Una cosa che apprezzo sul web è quando un altro essere umano (vs algoritmo di raccomandazione) mi suggerisce buoni contenuti. Se questo capita su blog personali, il video e di solito integrato nella pagina. Ed i video integrati non hanno pubblicità, problema risolto. Questo metodo ha anche un corollario: se mi arriva un link a YouTube, posso modificare l'indirizzo e comunque guardare il video fuori da YouTube. Ad esempio, da posso andare da

https://www.youtube.com/watch?v=vo1zyMk1n5I

pieno di pubblicità e fastidi, a

https://www.youtube.com/embed/vo1zyMk1n5I

con solo il video, a tutto schermo.

In questo caso il successo non è garantito, perché l'autore potrebbe aver bloccato l'embed, di solito per attivare pubblicità. Ottimo! La monetizzazione forzata è spesso associata ai video che mi danno più fastidio, meglio scoprirlo subito.

Leggo la trascrizione

Se il video è interessante, ma lungo, mi dirigo su YouTube transcript, uno dei vari servizi che mostrano i sottotitoli accanto al video, sotto forma di trascrizione. È un metodo ottimo per guardare una presentazione, o delle istruzioni: posso saltare ad un punto preciso in base al testo, ed evitare le noiose introduzioni che sono diventate tradizione. Mi è capitato di leggere la trascrizione senza neanche guardare il video, visto che richiede meno tempo.

Ascolto solo l'audio

YouTube è anche un canale per ascoltare musica, e di rado mi interessa il video. Da tempo uso yewtube, un programma per riprodurre il sonoro di un video da linea di comando. È costruito come un player musicale: supporta playlist e tutto, ed evita le parti di YouTube che più mi disturbano: pubblicità, autoplay, video suggeriti, anteprime con gente con espressioni esagerate per attrarre click.

Visito un mondo parallelo

L'ultimo passo è installare front-end alternativi, come Invidious o Spotube, che riproducono le funzionalità di YT senza il dolore della piattaforma. Li ho guardati con curiosità, ma non mi sono mosso in questa direzione. Alla fine sono i video stessi il problema, a questo punto. Dieci, quindici, venti minuti per qualcosa che potrebbe essere spiegato in tre paragrafi. Altri, moltitudini sul pianeta, sembrano apprezzare questo mondo, quindi lo lascio a loro. Ogni tanto scovo o ricevo un link ad video interessante e fatto bene, ed apprezzo che queste produzioni esistano. Lo passo a qualcun'altro, da umano ad umano.

Measure What Matters

John Doerr, 2018

Ho finito "Measure What Matters" più di un mese fa, e la mia opinione è ancora incerta.

Il soggetto, il metodo Objectives and Key Results per organizzare una ditta, è una cosa di cui facciamo uso sul lavoro. Non lo seguiamo in modo ortodosso, ma è parte fondamentale di come teniamo traccia di progetti, tre mesi alla volta, e di obbiettivi a lungo termine.

La cosa funziona a mio parere, ed evita una serie di problemi che ho incontrato in lavori precedenti. In particolare crea una struttura che mi permette di dire "no, questa cosa che ti è venuta in mente oggi non la facciamo, perché non ci aiuta a raggiungere nessuno degli obbiettivi a cui l'intera ditta ha dato priorità."

Il libro scende nei dettagli, discute gli effetti positivi sulla cultura (se siamo d'accordo sulle priorità, non siamo in competizione) e sul morale (quello su cui lavori ha un chiaro ritorno a lungo termine). Ma...

Il libro è incentrato sugli Stati Uniti, dalla Intel degli anni '80, alle start-up senza senso di oggi. Gente che si vanta di aver dato via un prodotto gratis per anni, raccogliendo fondi e fondi, e poi un giorno penseremo a come fare soldi. Google che fa di tutto perché la gente guardi video inutili per far soldi con la pubblicità. Roba tipo "abbiamo una flotta di camion a gasolio che girano per la città di continuo, con a bordo un forno così possiamo portarti la pizza più calda degli altri."—sono falliti, non mi stupisce.

Leggo queste cose, ed i WTF per secondo superano la soglia di guardia. Faccio anch'io parte di questa industria, di questa cultura? Due respiri profondi. Ok, no, lavoro per una ditta con un prodotto utile, un costo chiaro, priorità sensate. Eppure il libro mi fa sentire sporco.

John Doerr celebra una serie di CEO di ditte note per i loro sozzi metodi (e.g., Intuit), e poi chiude con la storia positiva di Bono che aiuta l'Africa. Sembra l'eccezione messa li per confermare la regola.

Settimane dopo, sono ancora in sospeso. Lo strumento mi sembra utile, l'uso che ne viene fatto preoccupante. Ma è forse una cosa tipica di tutti gli strumenti che funzionano? Scendo in Italia pochi giorni dopo aver concluso la lettura, e nel mio paesino tira già a tua di campagna elettorale. Mi chiedo se mai un candidato arriverà con una chiara lista di obbiettivi e passi per raggiungerli, di misure da considerare e idee per portare correzioni quando qualcosa va storto. La pizza va bene anche più fredda, me ne sto.

Infine la copertina: qualcuno ha fallito la conversione da pollici a centimetri, ed una delle due misure è sbagliata.