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Berlino

Tiergarden e Berlino Berlino, vista dal centro del verde

Atterro a Berlino e mi accoglie il caldo. In Scozia ti dimentichi che altrove le temperature primaverili si aggirano sui 20°C. Tolgo la giacca, tolgo la felpa. Seduto fuori dal terminal assorbo il sole disponibile, sbocconcello un panino, ed attendo Cippu. Invisibili durante il giorno, le stelle sono infine allineate: sono qua per incontrare Ing., Seb, ed altri personaggi importanti.

Lungo il tragitto dall'aeroporto, Berlino prende forma in un crescendo di palazzoni. Appaiono i primi vialoni alberati, i palazzi mitte-europei (molti in mattoni), e strutture danneggiate dalla guerra, deliberatamente incomplete. Molti edifici hanno una forma vecchia, ma i materiali sembrano nuovi. Gli spazi sono ampi e poco affollati, ed almeno un cortile nasconde capre. L'asfalto è impeccabile—non mi sorprende esista una maratona per pattinatori.

Sul treno, una ragazza di ritorno dal Portogallo ci suggerisce destinazioni da visitare. Più tardi, in un baretto in un parco di Charlottenburg, una dottoranda in letteratura sud-africana ci racconta le sue impressioni della città. Effetto collaterale del girare con Cippu, ti ritrovi impegolato in discussioni con persone a caso. Queste ci descrivono la città da punti di vista opposti: opprimente ed affollata, accogliente e vivibile. La giornata è stata lunga e la mia attenzione si affievolisce, distratto dal tramonto sul laghetto, dai riflessi della birra torbida, e dall'eterocromia.

Berlin Hauptbahnhof La stazione centrale, dove i cartelli non sono molto chiari.

Vaghiamo lungo Bernauer Straße, una parte della città dove il muro di Berlino ha lasciato un solco più evidente. Il percorso è punteggiato di informazioni e fotografie dagli anni ‘60 ai primi ‘90, ed avanzi delle strutture che una volta dividevano la città. Se la ferita del muro è sparita, rimane la cicatrice. Su di essa si allineano edifici tagliati di netto, le facciate vuote ed uniformi. Attraversiamo parchi, grandi ed ovunque. Li animano un misto di giovani e famiglie, gli anziani probabilmente altrove, lontano da musica e barbecue.

Il trasporto pubblico regna sovrano. La parte sopraelevata della metro mi ricorda Tokyo od Osaka, ma dove il trasporto giapponese si intrufola compresso fra edifici e quartieri, Berlino ha fatto spazio a spaziosi passanti e crocevia ferroviari, linee del tram, larghi marciapiedi e parchi per i pedoni. La metropolitana è subito sotto la strada—dove sono le tubature? A Tempelhof gli esseri umani hanno riconquistato la superficie di un intero aeroporto; le prime crepe e piantine nell'asfalto della pista ne sottolineano la temporanea esistenza.

Domenica, ritorno. Arrivo all'aeroporto in anticipo, e mi siedo su un muretto a rosicchiare cena. Di nuovo in maglietta, assorbo l'ultimo sole prima di dirigermi verso casa e climi più freddi.

Oberbaumbrücke Il cemento cresce attorno a pezzi più vecchi

Quattro giorni volano, è come aver visto Berlino di sfuggita dal finestrino di un treno. Rimangono vaghe impressioni di spazi e persone, più ‘popolazioni’ che individui, che non ho avuto tempo tempo di approfondire. Tanti giovani laddove sono stato trascinato, diverse fogge, stili e... identità? Cantieri, ovunque. Berlino cambia e si muove, in centro come in periferia. Dal mattone rimesso in piedi nel dopoguerra, al cemento–alto, sfacciato, geometrico e per me invadente. Edifici storici ricostruiti, e quelli lasciati danneggiati, entrambi a ricordare e rammendare la distruzione della seconda guerra mondiale. Musei e palazzi dove le descrizioni cominciano con “questa stanza fu distrutta durante i bombardamenti, l'ambiente è stato ricostruito, gli oggetti vengono da un altro posto”. Sufficiente per sostituire l'originale agli occhi del turista medio, ma forse anche del cittadino di oggi.

Un esperimento in questo viaggio: non mi sono portato libri, musica o simili; me stesso unico intrattenimento, carta e tablet se avessi voluto scrivere. La stanza dell'albergo aveva un buon tavolo di legno e comodi sgabelli, ma la compagnia ha avuto priorità—il miglior modo di spendere questi giorni. Solo, in aereo, riempio il vuoto prendendo appunti su un paio di idee e libri letti di recente, poi tralasciati. Un po’ di note a penna, usando Journal, ed un po’ a tastiera. Il tablet continua ad avere successo come strumento: in viaggio non ho avuto alcun interesse a leggerci sopra, solo a scriverci. Quasi un sollievo non aver consumato per alcuni giorni.

Rientro contento, il mondo un filo più grande.

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Il cielo sopra Berlino

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Immagino una spirale che non c'è

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Occhiali al tramonto

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La fine del canale

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Disgelo

Toh, primavera. Fuori, le prime foglie punteggiano di verde siepi ed alberi. Nella cartella delle bozze, post marzolini iniziano ad appassire, mezzi scritti. Sarà meglio che mi sbrighi.

L’inverno è stato mite, meritandosi uno o più articoli del tipo “l’x° inverno più caldo degli ultimi y anni!”, di solito per x < y. Mi aspetto si perdano fra le mille cose di cui dovremmo preoccuparci: clima, guerra, economia, antibiotici, insetti... il tipico jackpot. La catastrofe, normalizzata. Una pigrizia generale ha velato la stazione con una sensazione di ostacolo. Ne discutevo di recente con il Venza: la fatica di uscire dal tracciato dell’abitudine ed intraprendere cose nuove, aggravata dalla consapevolezza che l’ostacolo sia principalmente interno, e dal fastidio che quest’ultima genera. Diluito nel tran-tran durante la giornata, l’ostacolo si sedimenta verso sera in un misto di malumore ed inazione: nessuna attività sembra la soluzione giusta.

Come reazione alla staticità ed alla poltrona, mi sono impuntato. Ho preso i considerazione come “no, non è interessante, non è una buona idea” e le ho etichettate come pensieri inaffidabili: capitano, sembrano validi come gli altri, ma è bene ignorarli. Ho accettato più o meno ogni proposta che mi passava davanti: un viaggio a Berlino, ancora mezzo da organizzare, telefonate con gente, andare al cinema, giornate in compagnia, un pranzo sul prato umidiccio. Spolvero la chitarra, mi infilo in (poco affollati) meet ups, pedalo sotto la pioggia per incontrare gente. Per quanto lo trovi monotono, potrei anche rimettermi a correre—meglio del continuo attendere l’esercizio perfetto.

Nessuna di queste cose è soluzione all'ostacolo. Ma nella massa mi portano a muovervi, parlare con altra gente, espormi ad esperienze nuove. Anche se magari devo soffrire un volo Ryanair alle 8:30 di mattina. La massa guadagna momento, ed abbatte l’ostacolo. Dire di si fa avvenire cose; dire di no genera pomeriggi in casa che vanno bene nel buio di Dicembre, ma ora sono uno spreco. Mi sbrigo a sbrinarmi, perché in Scozia senti sempre che l’autunno è vicino.

Forse devo approfittare di questo spirito per organizzare una camminata, visto che fallisco nel tentativo da anni. O più di una: meglio non caricare troppa responsabilità su un singolo evento, ma farne una pratica ripetibile e migliorabile.

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Continua, sotto la scrivania, la lotta contro l'entropia.

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