The Fisherman

John Langan, 2016

C'è un appartamento stranamente arredato a Basilea, che ha generato racconti dell'orrore, dubbi metodi per aggiustare lavandini, e suggerimenti a proposito di libri da leggere. The Fisherman è l'ultimo di questi, annotati una sera di Settembre, un paio di anni fa. È un altro libro di non-fantascienza, senza andare troppo lontano: un horror. Il giudizio positivo di due amici libro-fidati lo aveva aggiunto alla coda. A lettura finita, approvo.

La storia, in un dettaglio superficialmente nerd, è narrata da un'impiegato della IBM che vive nella valle del fiume Hudson—come l'autore, John Langan. Rimasto vedovo, si rifugia nella pesca per riempire il vuoto. Anni dopo, gli si affianca un collega nella stessa situazione, ma più in profondità nel brutto momento. Assieme scoprono dettagli oscuri della zona in cui pescano, e finiscono per... ehm... interagire con quello che si nasconde sotto la superficie.

Il libro è scritto in modo peculiare: il narratore racconta la propria storia, ma anche la storia dell'altro, ed una terza sentita da un ulteriore personaggio, e da lui messa per iscritto. Altre storie si annidano dentro queste, a volte brevi come mezza pagina, giusto un evento narrato da un personaggio ad un altro, a volte più lunghe ed intrecciate. Qualcuno se ne lamenta persino. Una struttura frattale le accomuna: la fine di ogni storia è descritta subito, il percorso per raggiungerla viene dopo, pieno di dettagli, ma ci vuole tempo. L'intero racconto è quasi a prova di spoiler, visto che il finale è evidente dalle prime pagine. Eppure funziona.

Ho letto solo un breve racconto di Lovecraft, il resto ho assorbito via popular culture, in particolare l'esistenza di "unspeakable horrors", di cose mostruose e tremende che non possono essere descritte, perché vanno oltre ciò che la mente può contenere. The Fisherman si muove in un area simile, sia come geografia che come mitologia, ma non aggira l'orrore: include cose mostruose, nota come siano difficili da comprendere, e poi le descrive. Il narratore è sopravvissuto alla storia, e ricorda, e racconta, senza che l'orrore diminuisca. La mia poca conoscenza di Lovecraft non mi permette di confrontare veramente i due metodi, ma ho apprezzato la mancanza di ambiguità, che l'autore sembra giudicare non necessaria. Lo preferisco però di gran lunga ad Annihilation, che ho lasciato a metà proprio per il suo approccio al mistero, senza integrità né soddisfazione.

Mi servono solo un paio di settimane per finire il libro. Il maltempo nella prima, ed una mezza influenza nella seconda, aiutano sia a trovare tempo per leggere che a creare la giusta ambientazione, nel torpore di un pomeriggio troppo buio, con qualche linea di febbre. Bonus per il crescendo di sottofondo della crisi epidemica.

Coincidenza, sia questo libro che The Buried Giant, l'ultimo che ho letto, si incentrano inaspettatamente su coppie sposate, sebbene in modi opposti. Leggerli a breve distanza ha creato un contrasto notevole, che difficilmente sarebbe venuto a galla se fossero passati mesi fra uno e l'altro. La lettura di un libro non è un evento isolato, ma è parte dell'inarrestabile sequenza delle esperienze. Se prendo più note a proposito del contesto che del libro stesso, è perché il libro lo posso rileggere, la vita no.