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Lo spartiacque

Una panoramica di Edimburgo, vista da Arthur's Seat La prospettiva

Arrivo ad Edimburgo a fine settembre, vent'anni fa. Scendo dall'autobus in centro con valigione, zaino, portatile, ed in mano una grezza mappa cartacea. Google Maps non esisteva ancora. Mi guardo attorno: un parco, un castello, innumerevoli guglie di arenaria annerite dalla Rivoluzione Industriale. Sono uno spaesato studente dell’Erasmus, qua per scoprire come funziona l’informatica nel Regno Unito. Sono anche in cerca di una vacanza da un’Italia che trovo soffocante, da un’insofferenza di imprecisa origine che non so gestire. Il problema sono io, ovviamente, ma ci vorrà tempo per chiarire la cosa.

Ho dieci mesi per scoprire pezzi di città, e di Scozia. Verde ovunque, tetti di pietra grigia, autobus a due piani che passano in orario. Spazi più ampi di quelli a cui mi ha abituato la Liguria, traffico più rilassato, camminare ovunque la norma. L’università è enorme, circondata da una miriade di attività satelliti organizzate dagli studenti. Incontro mille persone, con cui parlo una sera, o che avrei ritrovato per anni. Salgo sulla collina più vicina—ne ho sempre una a due passi da casa—da cui posso guardare l’intera città e la vita che scorre, notare come i vari pezzi si incastrino, e fingere per un istante di non esserne parte. Scopro una diversa prospettiva.

Corsi, tutorial, laboratori, esami: faccio tutto il necessario, impantanato in ritmi e modalità di studio che non mi aspettavo. Rientro con voti accettabili ed una metaforica valigia di esperienze che non ho ancora digerito. Restano alcune note di quei tempi—anche questo sito ha vent'anni—ma rileggendole noto di più le cose che non ho scritto. Riconosco le parole, la persona che ero, e la distanza sembra un abisso. Quei dieci mesi ad Edimburgo sono uno spartiacque fra il vagare confuso e l’avere una direzione. Qualcosa si mette in moto.

Spendo qualche anno in Italia per concludere la laurea e fare un paio di esperienze lavorative. L’insofferenza persiste, ma la causa è più evidente. Ho scoperto le mie priorità, e sono attratto dal mondo la fuori con meno cemento, meno rumore, tensione e scorbuto. Nel 2007 torno ad Edimburgo “per tre-cinque anni”—forse era una menzogna evidente a tutti quelli coinvolti. Finisco per lasciare l’università, ma nel frattempo ho messo giù le fondamenta di una carriera. Ho il privilegio di scegliere.

Scelgo la calma, il verde, andare a piedi al lavoro. La famiglia e gli amici di lunga data sono lontani, e richiedono più sforzo e viaggi. Scelgo un mare più freddo, vicino ma alieno con le sue maree ed alghe. Scelgo il teatro, il tiro con l’arco, le mille cose che posso imparare una sera a caso con persone mai viste. Scelgo di essere uno straniero in un posto pieno di stranieri con cui lamentarmi del meteo gramo e glorioso, sole basso e arcobaleno garantito sotto i nuvoloni, e ringraziare per tutto il resto.

Scendo dall'autobus in centro. Sono a casa.

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