Inestricabile parte di noi

Mio padre si è spento dieci anni fa, “dopo una lunga malattia” di cui solo poche settimane fanno parte dei miei ricordi di emigrato. Gli ultimi minuti all'ospedale, la sua mano senza peso nella mia mentre osservo l'appiattirsi di uno schermo pieno di grafici, sono bruciati nella mia memoria.

I giorni, le settimane che seguono sono difficili. È un'onda di marea che ti solleva e nasconde tutto. L'unica opzione è cercare di stare a galla. Quando infine l'acqua se ne va, il paesaggio è cambiato. Solo gli edifici più stabili sono rimasti, il resto è sparito, o appiattito a terra.

Molte delle cose che consideravi importanti non sono sopravvissute all'ondata, la loro priorità era solo una facciata. Ci vuole tempo prima di poterne scegliere di nuove. “Vivere bene, possibilmente a lungo” si fa spazio prepotente, una nuova responsabilità: considera quello che hai provato; guarda quelli attorno a te che hanno sofferto allo stesso modo; evitagli per quanto puoi di ripetere l’esperienza.

Una delle persone principali con cui ti rapportavi è sparita. Se chi sei è in parte definito dal confronto con altri, alla stanza immaginaria dell’io manca improvvisamente una parete. Lo spazio si apre sulla facciata, il vento è forte, e devi appoggiarti da qualche parte. Ci vuole tempo a ridefinire l’individuo, a ritrovare supporto per l’identità. Invece di sostituire l’appoggio con la prima cosa o persona che capita, è sano puntellare la struttura e con calma costruirgli buone fondamenta. È un percorso che richiede tempo e sudore.

Gli anni sono passati, e con essi le notti in cui mi sveglio per asciugare le lacrime. La famiglia e la vita si sono aggiustate attorno alla ferita, ed hanno una nuova struttura. La cicatrice esiste, ruvida ma invisibile, di rado menzionata. I ricordi, la personale impronta interiore di pensieri, opinioni, espressioni, suggerimenti, scherzi, atteggiamenti, e movimenti di mio padre restano, inestricabile parte di noi.