Mai fidarsi delle tasche

Ieri mattina, mentre camminavo verso il lavoro sotto un cielo grigio uniforme, la giacca ben chiusa, meditavo di sedermi in libreria e scrivere di come l'estate arrivi di soppiatto, da queste parti. Poi nel pomeriggio il meteo si è ribaltato e l'estate è arrivata di soppiatto. Scattate le cinque sono rientrato di corsa, ho indossato i pattini, e sono uscito a sudare.

C'è una comoda pista ciclabile giusto dietro casa, larga a sufficienza da poter schivare passanti e ciclisti, che seguita per i suoi vari chilometri arriva fino al litorale. La circondano alberi, ruscelli, e campi da golf sufficienti a farti dimenticare di essere pur sempre in città. È il tracciato giusto per convertire i pensieri della giornata in quantità di moto.

Sono quasi al mare quando metto una mano in tasca, e scopro che ho perso la patente. In un momento di maturità, o stupidità, avevo deciso di avere con me almeno un documento, nel caso fallissi qualche incrocio, o ponte, o gradino. Non lo porto mai. Mi fermo a controllare tutte le tasche, poi ritraccio il percorso verso casa, mesto, seguendo con lo sguardo i lati della strada. Man mano che mi avvicino alla magione mi sorge anche il dubbio di averla dimenticata sul tavolino accanto alla porta, e di aver cambiato meta per nulla. Ma no, non è a casa, così come non è per terra lungo i chilometri di asfalto che ho scansionato. Che fare?

Riparto verso il mare, non sia mai che mi sia sfuggita in un battito di palpebre. La sera si avvicina, gli sciami di insetti si fanno più densi, ma nessuna traccia della tessera che cerco. In compenso, scopro che la gente butta per terra mille oggetti rettangolari, con dimensioni e colore simili ad una patente: biglietti del cinema, incarti, pezzi di plastica, tessuto, gomma. Innumerevoli falsi positivi, che mi fanno alzare cespugli e diradare erba, ma portano solo delusione. Zero patenti.

Raggiungo infine il luogo della sventurata scoperta, oltre cui non c'è più motivo di cercare. Ma un senso di incompletezza ed insoddisfazione mi spinge avanti, e percorro l'ultimo tratto finché il verde si apre e vedo il blu del Firth. E poi continuo per alcuni chilometri lungo la costa, apprezzando il calore del lento tramonto di queste latitudini, finché non finisce l'asfalto. Mi siedo sul muraglione, pattini a penzoloni, ed ascolto gli uccelli.

Il ritorno scorre più veloce, perché posso ignorare i falsi positivi che ormai conosco. Ma neache quest'ultima scansione ha successo, e rientro sconfitto, dopo una breve pausa alla stazione di polizia. Ma con 30 e più chilometri nelle gambe, e tre ore di aria aperta (e calda!) sono stanco, ma contento. La patente riapparirà, o la sostituirò; l'estate, in Scozia, è più preziosa.