Articoli per giugno 2019

Pausa sull'orlo della civiltà

Il Suilven, visto dal Cùl Mòr Intervallo

Rientro in città dopo tre giorni nel nord della Scozia, stanco, soddisfatto, e sorprendentemente asciutto. Era un po' che non guidavo dall'altro lato, e sono riuscito ad imbroccare sempre la corsia giusta. Non ho investito fagiani, conigli, o cervi. Un fine settimana tranquillo, tutto sommato.

Sono andato nell'Assynt, dove le Highlands scendono verso il mare, e la Gran Bretagna giunge al termine in un'accozzaglia di insenature, laghi, e pantani di varia profondità. Qua e la, insolite spiaggie sabbiose farebbero invidia alle coste del Mediterraneo, se non fossero spazzate dal vento. Ed in mezzo a tutta quest'acqua, sorgono inaspettati picchi e montagne dai nomi impronunciabili, che un po' mi ricordano la Norvegia, di cui la zona è parente geologica.

Nel 2004 mi ero aggregato ad una gita dell'Hillwalking Club, ed avevo visitato Ullapool, la cittadina più grande della regione, e scarpinato sulle pareti dello Stac Pollaidh (Stac Polly per gli amici). Ricordo pioggia, e bog, quel terreno erboso che fa finta di essere solido... e poi la gamba sprofonda fino al ginocchio, in un concerto di idraulica e fango. Ho qualche foto da parte, negativi e stampe in un album: una gita pre-digitale.

Arenaria deformata Sembra morbida, ma è proprio pietra.

La destinazione questa volta è un'altra montagna della zona, poco distante, ma un filo più alta: il Cùl Mòr. L'ascesa è tranquilla, gli unici suoni il vento, i passi, ed il richiamo un po' triste di strani uccelli. La montagna è curiosa: è situata proprio sul limite fra due zone geologiche, e divisa quasi di netto fra due tipi di roccia diversi, un'abbagliate quarzite ed un'arenaria deformata dal tempo. Saliamo lungo un sentiero bianco e scheggiato, scendiamo lungo una via ondulata e rossiccia.

A parte una manciata di persone all'inizio del cammino, non incontriamo nessuno. Dalla cima, la vista è quasi un mappa della costa, con le sue baie frattali, ruscelli che serpeggiano nel bog lussureggiante, e le strane estrusioni che qua passano per montagne. E per buona parte dell'orizzonte, non c'è traccia dell'umanità.

Beviamo cioccolata calda sulla vetta, utile per scoraggiare il freddo quando una nuvola di passaggio ci avvolge, mentre guardiamo le ombre allungarsi. Lungo la via del ritorno facciamo a gara con il tramonto, e raggiungiamo l'auto illuminata dall'ultimo fioco sole. La migliore delle camminate.

Cam-loch, ed Elphin Qualche casa nella distanza, e gli immancabili pascoli punteggiati di pecore.

Kafka on the Shore

Haruki Murakami, 2002

Con l'avanzare della primavera, mi sono ritrovato a leggere più libri in parallelo. Così siamo arrivati a Giugno, e solo ora finisco il quarto libro dell'anno.

Kafka on the Shore mi è stato suggerito da Fabio quasi un anno fa, quando la pila dei libri era bassa, ed avevo chiesto suggerimenti in giro. Murakami è uno dei nomi che si sentono spesso, ed i suoi libri spesso disposti piatti su un tavolo, in libreria. Ma anni fa avevo letto “Hardboiled Wonderland and the End of the World” ed ero rimasto incerto: il misto di fantascienza e fantasy sembrava mancare la rigorosità a cui sono abituato. Prendere in mano un secondo romanzo sembrava una buona idea per rivalutare l'autore.

In realtà sono passati mesi prima che lo portassi a casa. La pila si era rapidamente alzata all'inizio dell'estate, e quando ero andato a cercarne una copia, la libreria era senza. Un'altra volta ce n'erano due, entrambe danneggiate. Soltanto ad Aprile ho avuto successo.

Kafka on the Shore è un libro pieno di gente in viaggio, fisico e metaforico, ma il volume non ha mai lasciato casa. L'ho letto alla sera, più di traverso sul divano che sulla sedia a dondolo. Sono dettagli importanti, che rappresentano gli ultimi mesi: la sedia spesso occupata, entrambi un po' stanchi, e la lettura a riempire tempo che avanza, in modo passivo, invece di un momento pianificato.

Il romanzo mi ha lasciato... un po' incerto. Come Hardboiled Wonderland, avanza con due storie parallele ma collegate. In modo simile mischia reale, mondano e fantastico. Le storie di Kafka, e dell'anziano che parla con i gatti—e si, i gatti rispondono—prendono pieghe strane ed originali, ma ogni tanto c'è un eccesso onirico che mi lascia dubbioso. Ci sono dubbi, domande, ed ovviamente poche risposte. Il che mi lascia nella stessa incerta posizione su Murakami: il viaggio è un piacere, ma non sento il vuoto della non-destinazione.

Lascio la porta aperta ad un terzo libro, però, per triangolare lo stile. I mondi di Murakami sono sfuggenti, ma la prosa scorre alla velocità giusta, e le immagini sempre strane ed interessanti.

Mai fidarsi delle tasche

Ieri mattina, mentre camminavo verso il lavoro sotto un cielo grigio uniforme, la giacca ben chiusa, meditavo di sedermi in libreria e scrivere di come l'estate arrivi di soppiatto, da queste parti. Poi nel pomeriggio il meteo si è ribaltato e l'estate è arrivata di soppiatto. Scattate le cinque sono rientrato di corsa, ho indossato i pattini, e sono uscito a sudare.

C'è una comoda pista ciclabile giusto dietro casa, larga a sufficienza da poter schivare passanti e ciclisti, che seguita per i suoi vari chilometri arriva fino al litorale. La circondano alberi, ruscelli, e campi da golf sufficienti a farti dimenticare di essere pur sempre in città. È il tracciato giusto per convertire i pensieri della giornata in quantità di moto.

Sono quasi al mare quando metto una mano in tasca, e scopro che ho perso la patente. In un momento di maturità, o stupidità, avevo deciso di avere con me almeno un documento, nel caso fallissi qualche incrocio, o ponte, o gradino. Non lo porto mai. Mi fermo a controllare tutte le tasche, poi ritraccio il percorso verso casa, mesto, seguendo con lo sguardo i lati della strada. Man mano che mi avvicino alla magione mi sorge anche il dubbio di averla dimenticata sul tavolino accanto alla porta, e di aver cambiato meta per nulla. Ma no, non è a casa, così come non è per terra lungo i chilometri di asfalto che ho scansionato. Che fare?

Riparto verso il mare, non sia mai che mi sia sfuggita in un battito di palpebre. La sera si avvicina, gli sciami di insetti si fanno più densi, ma nessuna traccia della tessera che cerco. In compenso, scopro che la gente butta per terra mille oggetti rettangolari, con dimensioni e colore simili ad una patente: biglietti del cinema, incarti, pezzi di plastica, tessuto, gomma. Innumerevoli falsi positivi, che mi fanno alzare cespugli e diradare erba, ma portano solo delusione. Zero patenti.

Raggiungo infine il luogo della sventurata scoperta, oltre cui non c'è più motivo di cercare. Ma un senso di incompletezza ed insoddisfazione mi spinge avanti, e percorro l'ultimo tratto finché il verde si apre e vedo il blu del Firth. E poi continuo per alcuni chilometri lungo la costa, apprezzando il calore del lento tramonto di queste latitudini, finché non finisce l'asfalto. Mi siedo sul muraglione, pattini a penzoloni, ed ascolto gli uccelli.

Il ritorno scorre più veloce, perché posso ignorare i falsi positivi che ormai conosco. Ma neache quest'ultima scansione ha successo, e rientro sconfitto, dopo una breve pausa alla stazione di polizia. Ma con 30 e più chilometri nelle gambe, e tre ore di aria aperta (e calda!) sono stanco, ma contento. La patente riapparirà, o la sostituirò; l'estate, in Scozia, è più preziosa.