Il lavoro vecchio

Settimana scorsa camminavo di prima mattina verso il centro, distratto da un episodio di Roguelike Radio, quando mi sono accorto di essere nel posto sbagliato. I piedi mi avevano portato in automatico verso il lavoro, solo che il lavoro era cambiato, l'ufficio nuovo in una diversa direzione.

Ho lasciato il precedente lavoro a metà Ottobre, con una fortunata di combinazione di ferie e pausa che mi ha dato quasi un mese di riposo. La decisione ha chiesto quasi tre stagioni, partendo da un generico fastidio per una “cultura” spinta dall'alto, ma solo di facciata ed ipocrita, per solidificarsi verso la certezza che la ditta non mi avrebbe dato rispetto e soddisfazione nel prevedibile futuro. Nel momento in cui mi sono accorto che il tempo speso li dentro era per la mia persona e la mia carriera tempo perso, la via da prendere era chiara.

Presa al volo una stradina laterale che mi avrebbe riportato nella direzione giusta per il nuovo ufficio, ripensavo ai vari periodi del mio ultimo impiego, definiti con sorprendente precisione dalle persone sopra di me, dalla loro competenza ed il mio variabile rispetto per essi.

Le dinamiche con i colleghi, il flusso delle responsabilità, e la complicazione del costruire un grosso prodotto, renderlo disponibile attorno al mondo facendo attenzione alle necessità di singoli paesi, spesso singoli clienti. Mi spaventa quasi che tutte le cose che ho imparato siano incastrate nella mia testa, e non ne abbia una copia di backup. Eppure sono li, invisibili al mondo e solo intuibili dal curriculum vitae.

Esplanade, Edinburgh Castle Esplanade, Edinburgh Castle

La stradina mi porta ad una scala, che mi porta ad un'altra scala: Edimburgo non è costruita in piano. Raggiunta la vetta della scorciatoia, la spianata davanti al castello, rallento un attimo ricalcolando la rotta più breve. I due anni del vecchio lavoro sono passati veloci. Il colloquio fatto di striscio (nei due giorni in cui ero venuto a parlare anche con Amazon) ed il seguente, rapido trasloco dalla Norvegia sono ricordi ancora freschi.

Licenziarmi non è stata una scelta leggera. Il senso di responsabilità si è fatto sentire quasi con una sua fisicità. Responsabilità verso il prodotto, verso gli altri sviluppatori in trincea, verso le persone che contavano su di me in giro nella ditta. Lasciarli indietro senza rimorsi vuole dire assicurarsi di non essere essenziale, ma anche ricordare che la propria vita non è definita dalle necessità (o comodità) degli altri.

Scendo attraverso il parco a tutta velocità, anche se non sono in ritardo. Il nuovo lavoro ha l'orario flessibile e l'open plan rumoroso è nel passato. Salgo le scale ripide, tipiche dei vecchi palazzi del centro, due scalini alla volta. Un posto più piccolo, ma spero più comodo.