Quando i tetraedri emergono dalla terra.
Tradizioni giapponesi si incontrano.
Il contatore
La diga aspetta, ed intanto osserva.
Godzilla approva il ramen piccante.
Traffico a Tokyo, sempre meno di quanto te ne aspetti.
L'aeroporto di Narita, tranquillo ed un po' alieno alla mattina.
Overflow
La volpe dietro l'angolo
Con l'arrivo dell'autunno ho ripreso a correre. Déjà vu? Riprendo a correre più volte di quanto vada a correre. Correre non mi attrae particolarmente, ma è un'attività sana che mi da un motivo per uscire nei mesi in cui il mondo è buio e spiacevole al tatto. È anche parte di un generale interesse nel rimanere in forma: tenere il fisico in condizioni decenti adesso è un investimento per il futuro.
L'esperienza del correre è assai diversa da quella che mi ricordo decadi fa, quando mi aggiravo nell'atletica leggera. Ho una più chiara immagine di come funziono, dei miei movimenti, di quali muscoli stiano lavorando e quali no. Osservo il ritmo, ascolto il fiato, il rumore dei passi. Li cambio ed esperimento. Se un dolorino si fa notare, so come rilassare il muscolo in questione e spostare lo sforzo su altri. Ho risolto l'ITBS prestando attenzione alle ginocchia, imparando a diminuire la tensione di certi muscoli. Non ricordo questa consapevolezza e controllo quando facevo giri di campo in gioventù. Forse è il correre da solo nella notte? Forse sono i super poteri che arrivano con l'avanzare degli anni?
Una mattina mi sveglio più presto del solito, e mi scopro uno di quei personaggi strani che vanno a correre prima di andare a lavorare. Prima di fare colazione! Una cosa che trovavo inconcepibile, finché non l'ho fatto. Mi torna in mente l'importanza di non un essere ostacolo per me stesso, neanche involontario.
Non dissimile dal camminare, correre è una scusa per esplorare strade secondarie, zone residenziali, quartieri limitrofi nei quali non avrei altrimenti ragione di addentrarmi. Ed è sorgente di piccole sorprese ed avventure. Mi distraggo a guardare le foglie rosse di un acero, e sbaglio stradina: scopro un vicolo cieco, chiuso da edifici vittoriani mai visti prima. Giro un angolo, una sera al buio, ed incontro una volpe. Incrociamo lo sguardo un momento, poi ci passiamo accanto condividendo il marciapiede come se fosse normale. Sarà normale, da questo momento in poi.
Mi ritrovo davanti alla casa dove ho abitato l'anno dell'Erasmus. Attraverso la finestra della sala scorgo nuovi mobili; passo nuovi edifici dove una volta era un parcheggio. Probabilmente non c'è più nessuno che conosco nell'intero campus. È il posto che mi ricordo, ma anche un luogo diverso. In un momento di filosofia spicciola mi chiedo: a che punto cambia identità? Esiste un posto a priori, o solo esperienze di esso, che condivido con altri ed il me-passato? Qualcuno nell'antica Grecia deve aver già considerato queste cose. Il posto dove ho vissuto che rimane con me, ma ce n'è uno nuovo, osservato da un diverso io. Ne porto via l'esperienza, di corsa, e poi la metto per iscritto.
Tramonto sul castello di Edimburgo